17 Gennaio 2014

Col dialetto sono un brozzo, merito di stare nel canton di stick?

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Lo ammetto: ho imparato tardi il dialetto ferrarese e in maniera assai incompleta. Chi come me ha genitori che non sono originari di questa zona non ha mai potuto esercitarsi con la lingua locale in casa, tra proverbi della nonna, piatti tipici, tradizioni e il mare di oggetti d’uso quotidiano che hanno sempre nomi strani e pittoreschi. La prima opportunità di apprendere qualche nozione di dialetto la si ha a scuola, quando i compagni di classe usano insulti più coloriti ed originali del solito, quando le cose prendono finalmente il loro nome chiacchierando con amici nell’intervallo, nei momenti in cui la lingua parlata esce dall’aulico interloquire con i professori. Si apprende quindi tutto quel sottobosco di aldamar, busgàt, àsan fino al famigerato maiàl che ormai ha varcato i confini emiliani. Gli insulti o le parolacce appunto.
Ma negli anni, nelle pieghe di un libro, in una poesia in dialetto, nei modi di dire che si vanno perdendo e che per fortuna ogni tanto qualcuno si prende la briga di conservare pronunciandoli a voce alta facendoli esistere ancora una volta, si scoprono meraviglie lessicali, tesori nascosti che ogni lingua in realtà possiede. Allora oggi che è la Giornata Nazionale del Dialetto e delle lingue locali voglio lasciare qui sotto le mie parole preferite di questa strana lingua che è il ferrarese, e vorrei leggere le vostre per impararne di nuove. Le più curiose, le più strane ed originali, quei termini talmente assurdi da suonare completamente incomprensibili alle orecchie di un foresto, come si dice da queste parti. Proviamo a raccogliere le migliori nei commenti? Inizio io quindi:
sportina
gatta
barbagiàn
gabàna
fricandò
patècia
schirocìno
sguazzabarbuz
silacco
spàpla